"U CUONZU"
o torchio moderno
Lintroduzione del "cuonzu", o torchio moderno, ebbe molto successo in
quanto, oltre a ridurre notevolmente i tempi della spremitura delluva, consentiva di
attuarla in locali alquanto modesti, anche se in un primo momento ci si limitò alla
sostituzione dellantica pressa greca nell"aria" di centro.
Per cui luva, ridotta in poltiglia dai "pisaturi",
quando non si infossava per la fermentazione veniva messa nel "cuonzu" dove una
sola persona poteva strizzarla rapidamente, mentre il succo continuava a raccogliersi nel
solito tino sottostante.
Questo tino era un parallelepipedo, con i lati di m. 1,50 per 2,50
circa e una profondità di 2 o 3 m., dove si poteva scendere grazie ad una scaletta
ricavata con delle pietre sporgenti dette "palummeddi" su uno o due lati
formanti uno dei 4 angoli.
Dopo avere raggiunto la fermentazione desiderata, il mosto veniva
"sfossato", cioè uscito, per metterlo nelle botti. Questa operazione, come
quella per uscire i raspi, era molto delicata in quanto la fermentazione del mosto produce
un gas molto velenoso insapore e inodore, cioè lanidride carbonica. Questa, essendo
più pesante dellaria, restava dentro il tino per cui, mentre una persona muoveva
laria con un sacco od un otre di "lona", unaltra vi scendeva. Al
fine di "sfussari" anche lultimo residuo di mosto, si immergeva il
"bagghiuolu" nella "cupunara", piccolo fosso esistente sul fondo del
tino, che così si prosciugava agevolmente fino alla fine.
Più tardi, per evitare tutta questa serie di inconvenienti, si
incominciò a pestare luva dentro il tino di legno posto vicino al cuonzu o torchio
moderno dove si continuavano a mettere per strizzarli i raspi, il cui succo veniva ora
raccolto già filtrato in un altro tino di legno.
Da qui, con dei "lannuni", veniva versato nella quartara da
mosto per misurarlo e quindi versarlo, con appositi imbuti, nei "carratedda" o
nelle otri di olona, per trasportarlo alla "rispenza", dove veniva versato nelle
botti. Queste, quando erano nuove, prima venivano pulite con acqua calda in cui si erano
fatte bollire delle foglie di alloro o altre erbe aromatiche o si sciacquavano con del
vino buono. Quindi le botti venivano disinfettate con vapori di zolfo con il
"pipituni", che non vi lasciava cadere le gocce di zolfo acceso.
Infine, le botti venivano riempite fino ad un certo punto con il mosto,
che vi si travasava dalle otri o dai "carratedda" grazie al relativo imbuto.
Finita loperazione, la botte non si poteva chiudere in quanto il
mosto doveva completare la sua fermentazione per diventare vino, per cui il buco veniva
chiuso da una "scutedda o pignata", fatta in argilla con tanti fori, che mentre
consentiva la fermentazione, impediva agli animali di cadere dentro le botti.
PROVINCIA REGIONALE DI RAGUSA POLIMUSEO A. ZARINO - VITTORIA
CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.49/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1680-1681-1682-1683, donazione Emanuele Taccia 1977, Vittoria, fine 1800.
n.inv. 1701, donazione Mario Cocuzza 1982, Mazzarrone, inizi 1900.
Torchio, dal lat. Torculum (dallespressione latina
Concinnare torculum, disporre il torchio, divenuta nel tardo latino Conciare), in sic.
Cuonsu.
Di costruzione industriale, esso si compone di una grossa e pesante
base (1680) di forma quadrata, poggiante su 4 piedi in legno, con al centro fissata
unalta vite in ferro massiccio. Nella parte alta della vite è posizionato il
cricchetto (1684), tutto in ferro, che viene mosso dallo spostamento in avanti e indietro
della leva, pure in ferro pieno, e a seconda della posizione dei salterelli sale o scende.
Alla base del torchio poggia il "cannizzu" (1683) che è realizzato, in due
parti, con una serie di listelli
di legno imbullonati su tre semicerchi di ferro
piatto, e quando le due parti sono chiuse formano un cilindro dentro il quale si butta la
poltiglia delluva pigiata. Al di sopra di questa si posiziona il
"timpagnu" (1681) del torchio, costituito da due semicerchi di legno molto
spessi che coprono tutta la circonferenza del "cannizzu". Quindi sopra il
"timpagnu" si posizionano i "cippi" (1682) di legno a due a due
"capiati", cioè alternati, aggiungendo gli altri a mano a mano che luva
pressata diminuisce di volume, facendo fuoriuscire il mosto dalla canaletta in ferro. Qui
è posizionato il "crivieddu" (1701) che è un semicilindro in tondino di ferro
imperniato, per trattenere le impurità che fossero passate dal "cannizzu",
mentre il mosto scorre nella "menza tina", come si vede dalla foto esplicativa.
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.50/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1660, donazione Vincenzo Scivers 1966, Vittoria, inizi 1900.
Tino, dal franc. Tine, in sp. Tina, in sic. Tinu.
Lesemplare di cui trattasi, di costruzione artigianale, per la capacità pari a
litri 75 circa, può definirsi più precisamente mezzo tino. Esso è costruito con tutta
una serie di tavole di castagno, dette doghe, tenute assieme da tre cerchi di ferro piatto
sottile, di cui quello più in basso trattiene pure il fondo, detto "timpagnu".
Serve quale contenitore e, nella vendemmia, per la pigiatura delluva, come pure per
raccogliere il mosto ricavato dalla torchiatura della poltiglia delluva.
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.51/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. s.n., acquisto 1995, Vittoria, fine 1995.
Tinozza, dal franc. Baille, in sic. Bagghiuolu.
Esso è costruito artigianalmente con tavole di castagno, o doghe, al centro leggermente
curve e tenute assieme da cerchi in ferro piatto di cui quello inferiore trattiene il
fondo, o "timpagnu", mentre sotto il labbro superiore vi è un manico di legno
leggermente decentrato. Serve per il trasporto e travaso di mosto, vino, ecc.. Ve ne sono
di varie capacità, quello in oggetto è di 15 litri circa ed è stato realizzato
dallartigiano bottaio di Vittoria Vincenzo Scivers sul modello antico.
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.52/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1661, donazione fam. Zarino 1955, Vittoria, inizi 1900.
Bidone, dal franc. Bidon, (poiché in latta) dal lat. Lamna, in sic.
Lannuni.
Esso è ricavato tagliando il coperchio da un vecchio bidone di latta di circa 20 litri
utilizzato per olio, benzina, ecc., come quello in questione che è della Shell, e
mettendovi un manico di legno leggermente decentrato. Questi "lannuni"
sostituirono gli antichi "bagghiuoli" molto più pesanti e costosi e furono
utilizzati per travasare mosto, vino,ecc..
PROVINCIA REGIONALE DI RAGUSA POLIMUSEO A. ZARINO - VITTORIA
CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.53/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1659, donazione fam. Zarino 1958, Vittoria, inizi 1900.
Bidone, dal franc. Bidon, (poiché in latta) dal lat. Lamna, in
sic. Lannuni.
Esso è ricavato togliendo il coperchio da un vecchio bidone di latta
di circa 20 litri utilizzato per olio, ecc., e mettendovi un manico di legno leggermente
decentrato. Questi "lannuni" sostituirono gli antichi "bagghiuli"
molto più pesanti e costosi e furono utilizzati per travasare mosto, vino, ecc..
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.54/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 3420, donazione Salvatore Palmeri 1990, Vittoria, fine 1800.
Quartara, dal lat. Quartarius (1/4 del
Sextarius), in sic. Quartara.
Essa è costruita artigianalmente con tavole di castagno, dette doghe, tenute assieme da 5
cerchi in "raetta", ossia ferro piatto sottile, di vari diametri in quanto dal
profilo leggermente bombato della parte inferiore si passa a quello troncoconico nella
parte superiore, dove vi sono due manici contrapposti, pure in ferro piatto, incastrati
nel cerchio del labbro e nel penultimo. Essa, della capacità di 15 litri circa, serviva
per il travaso di mosto, vino, ecc..
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.55/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1663, donazione Vincenzo Zarino 1955, Vittoria, inizi 1900.
Quartara, dal lat. Quartarius (1/4 del
Sextarius), in sic. Quartara i mustu.
È costruita tutta in latta stagnata. È formata dal collo, o "cuoddu", di forma
cilindrica che è attaccato ad un ampio e stretto troncocono, chiamato
"pillirina", a cui segue la "panza" che è un cilindro leggermente
svasato e chiuso nella parte più stretta da un fondo. Questo è protetto dal
"circu" in larga "raetta", ossia sottile ferro piatto, mentre un altro
cerchio, molto più stretto, è messo a protezione del labbro nel collo, dove sono saldati
i caratteristici manici realizzati con sei pezzi di "cannola", tubi di latta. La
quartara da mosto serviva per la "cunsinna" in forma privata dello stesso, cioè
per la misurazione ed era della capacità di 10 litri fino al buco che, quasi sempre,
veniva tappato per abbondare in considerazione del fatto che il mosto, essendo in
fermentazione, era più voluminoso del vino.
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.56/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1690, acquisto 1979, Randazzo, 1700-1800.
Carratello, dal basso lat. Carrata, in sic. Carratieddu.
È costruito artigianalmente con tavole di castagno sagomate, dette
doghe, tenute assieme dai cerchi in "raetta", o ferro piatto sottile, di cui
quelli estremi trattengono anche il fondo e il coperchio detti "timpagni",
mentre nella pancia vi è il foro per riempirlo. Lesemplare di cui trattasi, con le
iniziali "L. P." incise a fuoco, della capacità di 30 litri circa, per la sua
struttura particolarmente alta e stretta serviva per i trasporti di mosto, vino, ecc., a
barda, prendendo il nome di "carratieddu a catanisa", in quanto questa forma
conservò nel tempo le sue caratteristiche in quel territorio.
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SCHEDA N.57/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1691, acquisto 1982, Rosolini, metà 1800.
Caratello o Carratello, dal basso lat. Carrata, in sic.
Carratieddu.
È costruito artigianalmente con tavole di castagno sagomate, dette doghe, tenute assieme
dai cerchi in "raetta", o ferro piatto sottile, di cui quelli estremi bloccano
il fondo e il coperchio ovalizzati, detti "timpagni", mentre nella pancia, ora
schiacciata, vi è il foro per riempirlo. Lesemplare di cui trattasi, della
capacità di 50 litri circa, per la sua forma pronunziatamente ovale serviva per il
trasporto di mosto, vino, ecc., a barda, prendendo il nome di "carratieddu a
sirausana", in quanto conservò nel tempo questa forma in quel territorio.
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.58/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1697, acquisto 1970, Vittoria, fine 1800.
Otre, dal lat. Uter, in sic. Utru i lona.
Recipiente di circa 40 litri, per il trasporto soprattutto di mosto, fatto con tessuto di
cotone compatto e resistente, fabbricato artigianalmente con filati grossi. Ha la forma di
un sacco rettangolare col lato superiore che si restringe a forma di imbuto, la cui bocca
veniva attorcigliata e legata con una cordicella cucita ad unestremità, mentre
allaltra estremità vi è un manico dello stesso tessuto.
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.59/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1679, donazione Gioacchino Occhipinti 1977, Vittoria, fine 1800.


Imbuto, dal lat. Imbuere (p.p. Imbutum), in sic. Mutu i
carratedda.
Costruito artigianalmente, di forma troncoconica, è costituito da
tante strisce di tavole di castagno, dette doghe, unite da due cerchi di ferro piatto
sottile, o "raetta", di cui quello inferiore trattiene il fondo sul quale, in
posizione decentrata, si trova un "cannuolu" che si introduce nel buco delle
botti, e più propriamente dei "carratedda", infatti ha due piccoli piedi
sporgenti, nel lato opposto al "cannuolu", per restare in posizione orizzontale.
Come si può vedere dalla foto esplicativa, serve per travasare liquidi, ma soprattutto
mosto e vino.
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.60/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1852, donazione Graziella Ventura 1990, Vittoria, 1800-1900.
Imbuto, dal lat. Imbuere (p.p. Imbutum), in sic.
Mutu i carratedda.
Limbuto, costruito artigianalmente interamente in latta, come
dalla targhetta in rame, era di un certo Lo Monaco Francesco. È formato da un cilindro,
ossia "pavera", che nella parte superiore ha un rinforzo, ossia
"rinfasciu", in ferro piatto o "raetta". Nel lato interno vi è la
"contrapavera", che serviva, durante loperazione di travaso, ad impedire
la fuoriuscita del liquido. Al di sotto del cilindro si attacca il cono, chiamato
"pillirina", a cui segue la "cannedda", ossia cannula, con tre fili di
ferro saldati sulla verticale che servono per non fare aderire la cannula al foro,
permettendo così la fuoriuscita dellaria a mano a mano che entra il vino, come si
può vedere dalla foto esplicativa.
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.61/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1685, donazione Giombattista Salerno 1970, Vittoria, fine 1800.
Botte, dal tardo greco Boutis, in basso lat. Butta, in sic.
Vutti.
Si tratta di un recipiente di "quattru carrichi" pari a 320 litri, costruito
artigianalmente con tavole di castagno, ossia doghe, che vengono tenute assieme da una
graduata serie di cerchi in "raetta", ossia ferro piatto sottile, di cui quelli
estremi trattengono il fondo e il coperchio, chiamati "timpagni". In quello
anteriore, come si può vedere, vi è una "purtedda", ossia portello, togliendo
il quale si può pulire di tanto in tanto la botte dai residui del mosto, che si introduce
dallapposito foro della botte esistente in alto sulla pancia. Da notare, al disotto
del "cugnu" che trattiene la "purtedda", il "cicaluoru", in
osso di corno, che serve per modesti prelievi di vino o assaggi.
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.62/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1722, donazione Franco Marotta 1986, Vittoria, inizi 1900.
n.inv. 3461, donazione Graziella Ventura 1990, Vittoria, inizi 1900.
Zolfo,
dal lat. Sulfur, in sic. Surfuru.
Si tratta di pastiglie di zolfo e cordicelle di zolfo con anima di cotone, ossia miccia,
di produzione industriale. Sia luna come laltra si accendevano e si
introducevano nella botte vuota, lasciandole sospese ad un fil di ferro nel foro della
botte, posizionato in alto. Lo zolfo bruciando produceva anidride solforosa che, essendo
più pesante dellaria non usciva dalla botte fin tanto che non si fosse riempita del
gas venefico, che così uccideva eventuali microrganismi, come muffe, ecc.. Questa
operazione, ossia la "nzurfarata", si faceva 24 ore prima di riempire la
botte col mosto.
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SCHEDA N.63/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1524, donazione Giuseppe Di Marco 1969, Vittoria, 1965.

Pituita, dal lat. Pituita, in sic. Pipituni.
Strumento, costruito dal lattoniere Giuseppe Di Marco, ex allievo di
Zarino Vincenzo, in lamiera zincata con il corpo principale a forma di cono, nel cui fondo
poggia una vaschetta con lo zolfo acceso. E poiché lo sportellino è traforato consente
di alimentare la combustione dello zolfo i cui vapori, attraverso le cannule, ossia
"beccu", potevano entrare nella botte da disinfettare, evitando
linconveniente della pasticca o della cordicella di zolfo che, durante la
"nzurfarata", lasciavano cadere gocce di zolfo acceso con conseguenti
rischi. Questo apparecchio è stato realizzato e introdotto sul mercato per la prima volta
dal lattoniere Zarino Vincenzo allinizio del 1900.
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.64/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1677, donazione Salvatore Occhipinti 1973, Vittoria, fine 1800.
Imbuto, dal lat. Imbuere (p.p. Imbutum), in sic. Mutu i utti.
Costruito
artigianalmente con larghe tavole, dalla fine del 1800 generalmente linterno veniva
rivestito di latta, ha la forma di parallelepipedo leggermente piramidale, nella parte
più stretta del fondo vi è una grossa "cannedda", o cannula, di lamiera e dal
lato opposto due piedi in legno. Serviva per travasare il vino nelle grandi botti e vi si
posavano sopra fino a due e più "carratedda" segnandoli, a mano a mano, col
gesso sul lato anteriore, come si può vedere dalla foto esplicativa.
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CATALOGO DEI BENI CULTURALI
SCHEDA N.65/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1811, acquisto 1963, Comiso, inizi 1800.
Scodella, dal lat. Scutella, in sic. Scutedda.
Palombo, dal lat. Palumbus, in sic. Palummedda.
Pignatta, dal lat. Pineata, in sic. Pignata.
Loggetto, a forma di grossa cipolla o ampolla, è costruito
artigianalmente in argilla ed ha tutta una serie di fori, fatti prima della cottura, nella
parte superiore. Il gambo, affusolato e vuoto come il resto, veniva introdotto nel foro
della botte appena riempita col mosto a mo di tappo, come si può vedere dalla foto
esplicativa. Ciò consentiva al mosto di continuare a completare la sua fermentazione
senza conseguenze per la botte, evitando che qualche animale vi cadesse dentro. Dei
diversi nomi con cui viene chiamato loggetto in questione, quello più
rappresentativo ci sembra "pignata".